lutto come affrontarlo

Il lutto, le sue fasi e come elaborarlo

Un tema “scottante”

Mai come in questo periodo il tema della morte è diventato di attualità. Abbiamo paura di ammalarci, paura che si ammalino i nostri cari e di perderli. C’è chi ha perso qualcuno e non ha potuto nemmeno salutarlo.
Parlare della morte in realtà è molto utile, mentre invece per noi tutti è un tabù, non a caso i cimiteri vengono costruiti lontani dalle case.
Se si parlasse di più di questo argomento, sapremo meglio cosa dire e cosa fare di fronte ad una persona che se ne sta andando. Così come sapremo meglio stare vicino a chi ha subito una perdita.
Anche contemplare la nostra morte potrebbe aiutarci a vivere ogni giorno in maniera più autentica; ascoltando le nostre inclinazioni senza farci condizionare dalle aspettative degli altri; ma anche decidendo di dedicare più tempo agli affetti e meno al lavoro.

Due dei rimpianti più comuni delle persone in fin di vita, sono proprio il fatto di non aver vissuto pienamente le proprie aspirazioni o i propri affetti.

La durata e l’intensità delle fasi di elaborazione del lutto, sono diverse a seconda di quanto era stretto il legame affettivo con quella persona e al fatto che sia stata una perdita improvvisa o dopo lunga malattia.

Ci sono fattori personali protettivi, che ci permettono di vivere meglio il lutto, come ad esempio una buona rete di supporto formata dagli amici, dalla famiglia.. O fattori di rischio, che possono non favorire una fluida elaborazione del lutto, come ad esempio soffrire di depressione, già nel periodo antecedente.

 

Le fasi di elaborazione del lutto

Le fasi elencate di seguito sono le stesse che si attraversano di fronte ad altri tipi di lutto, come ad esempio quando veniamo lasciati in una relazione d’amore.

La prima fase è quella della negazione. E’ la fase in cui neghiamo la realtà ed è una fase che ha una sua funzione, risparmiare alla persona una sofferenza oltre misura. È utile non forzare la persona a prenderne velocemente coscienza, ma è necessario rispettare i suoi tempi.

La seconda fase è la fase della rabbia. C’è rabbia per la perdita vissuta come un’ingiustizia. E’ la fase in cui ci si rivolge tanto agli altri o al contrario ci si chiude in noi stessi. É una fase a cui in terapia si presta molta attenzione, perché se una persona ci rimane troppo a lungo prolunga la sua sofferenza.

La terza è la fase della contrattazione. Ci diciamo: “superare questo momento mi renderà più forte”. E’ la fase in cui la persona si rende conto dell’irreversibilità della perdita, pur nell’alternarsi di sconforto e speranza di poter riprendere il controllo della propria vita. Si cercano modi e strategie per stare meglio.

La quarta fase, è la fase della depressione c’è la massima presa di coscienza della perdita. Ci si sofferma su ciò che non si potrà più fare con quella persona e questo amplifica la sofferenza

In questa fase possono manifestarsi sintomi come: mal di testa, perdita o aumento di peso, insonnia o eccessiva sonnolenza, rabbia, frustrazione, tristezza persistente, volontà di isolarsi.

La quinta fase è quella dell’accettazione. Durante l’accettazione posso ancora essere triste arrabbiato ma in misura minore rispetto a prima, la persona è pronta considerare quello che è successo nell’ordine naturale delle cose e ad andare avanti.

 

Cosa si può fare?

Come dico sempre ai miei pazienti noi siamo progettati per sopravvivere a qualsiasi tipo di lutto e tutte queste fasi si avvicendano naturalmente.

Quello che può fare la psicoterapia è velocizzare questo processo o aiutare la persona a passare alla fase successiva se si incaglia in una di queste.

In terapia si indagano le caratteristiche della persona, della sua sofferenza, del legame che aveva con chi non c’è più, per adattare al meglio il trattamento.

A volte mi capita di aiutare la persona a stare nel dolore; perché è solo passandoci nel mezzo che questo poi se ne va.

La tristezza trattenuta ad esempio diventa ansia o panico, per questo possono essere utili esercizi immaginativi con cui ripercorrere i ricordi; ma devono essere proposti solo dagli “addetti ai lavori”, che sanno bene i modi e i tempi più utili da suggerire.

A volte mi capita di far scrivere delle lettere indirizzate alla persona che è venuta a mancare, per dirgli ciò che non si ha avuto il tempo di dire, e la persona in questo caso di solito prova liberazione, ma a volte possono arrivargli anche alla coscienza consapevolezze che l’aiutano a stare meglio.

A volte è necessario lavorare per fare defluire la rabbia.

Se siete vicini a qualcuno che ha appena subito una perdita cercate di ascoltarlo senza aver fretta di consolarlo

E’ molto più utile dar loro un abbraccio, dire loro che ci siamo.

 

Bibliografia.
– La morte e il morire- Elisabeth Kubler-Ross, ed. Cittadella Editrice.

non si muore d'amore

“D’amore non si muore”

L’amore ha la capacità di rapire la nostra mente sia esso felice o infelice.

Se funziona possiamo tormentarci su:
– quanto durerà?
– il mio partner è/sarà fedele?
– gli piaccio veramente?
– sono alla sua altezza (bellezza, cultura, intelligenza)?

Se poi le cose non funzionano le ripercussioni sulla nostra vita possono essere devastanti; se litighiamo continuamente possiamo per esempio, non avere la forza per fare le cose che la nostra quotidianità ci richiede, o farle ma con uno sforzo enorme.
Quando veniamo lasciati solitamente vengono alla luce forti sentimenti di disistima, come se il mondo intero ci avesse detto che siamo sbagliati e che non valiamo abbastanza.
Solitamente ci si tormenta con mille ipotesi su come ci saremmo potuti comportare per fare andare le cose diversamente; a volte una forte rabbia, dettata dalla frustrazione di aver subito quella scelta ci attanaglia; il dolore, in certi momenti può essere così forte da togliere il respiro.

Sia che il vostro amore sia felice, ma per la paura di perderlo non vi godete le giornate, sia che sia infelice o addirittura terminato bruscamente, ecco dei consigli per non “morirne”:

• Le pene d’amore vanno lamentate, ma l’eccesso di lamentazione può esacerbare il vostro stato d’animo negativo, facendovi stare nel dolore anche quando avreste potuto pensare ad altro; date la possibilità agli amici e ai parenti di distrarvi.
Anche l’amico più caro potrebbe col tempo stancarsi di assorbire questi sfoghi, non esagerate; figuriamoci poi la persona che vi conosce appena, a cui confidate i vostri tormenti amorosi (quando le cose non vanno, ci comportiamo anche così, “D’amore non si muore”, ma per un po’ è facile perdere la capacità di discernere cosa è opportuno e cosa no).

• Se la vostra vita è piena perché:
– praticate uno sport;
– avete amici con cui uscire;
– avete uno o più animali domestici da accudire;
– dedicate un certo tempo della vostra giornata alla lettura;
– tenete alla cura di voi stessi;
– avete alcune abitudini fisse e rassicuranti come andare a correre tutte le mattine, o appuntamenti programmati con la vostra famiglia di origine..

allora è quasi impossibile che vi ritroverete a ossessionarvi d’amore sia per paura che finisca o perché è finito.

Più ambiti vi terranno a galla.

E’quando la vita è vuota, quando tutta la nostra identità coincide con quella storia d’amore, che corriamo più rischi; perché compromessa o finita la storia, cadiamo anche noi.

“D’amore non si muore”, soprattutto se, non si vive solo in funzione dell’amore.

Strategie pratiche per aumentare il benessere e l’equilibrio delle donne

“Benessere Donna”

In collaborazione con Cna e RiminiTerme

 

Tutti giorni noi donne ci troviamo di fronte a piccole e grandi sfide, per questo anche in assenza di gravi problemi ci mettiamo in moto per “sbrogliare queste matasse”; a volte però questi tentativi di risoluzione, possono complicare la nostra vita anziché migliorarla.

Ho deciso per questo di selezionare questi semplici consigli prendendo spunto dal lavoro che faccio nel mio studio quotidianamente, in particolare con le donne, spesso stressate sia per le richieste che l’ambiente fa loro, sia per i ritmi e gli standard che si auto-impongono.

 

No al “multitasking”: Come prima strategia vi consiglio di fare se possibile una cosa alla volta, il multitasking in cui noi donne eccelliamo è molto stressante, le neuroscienze ci dicono che proprio l’operazione di suddivisione dell’attenzione, ci richiede un grande dispendio di energie.

Inoltre suddividendola essa è più superficiale su ogni singolo compito e questo può portarci a doverlo ripetere, perdiamo così anche il beneficio del risparmio di tempo.

Dal punto di vista educativo i bambini imparano più dal nostro esempio che da ciò che diciamo; per questo se ci vedono sempre intenti a fare più cose contemporaneamente possono apprendere questa modalità, che ha l’effetto collaterale di remare contro alla creazione di tempi di attenzione prolungati.

Provate almeno per qualche ora al giorno ad impegnarvi in tal senso, avvertirete subito i benefici, vi sentirete più consapevoli di quello che fate, sarete più centrate nel presente.

Poi chissà, magari deciderete di farlo diventare uno stile di vita.

 

No alle lamentele: E’ opinione comune che se c’è qualcosa che  non va è bene parlarne il più possibile per sfogarsi, in realtà se fatto oltre misura può rivelarsi controproducente soprattutto se la sensazione di base che ci anima è paura, rabbia o dolore.

Lì per lì può sembrare di sentirsi più sollevati, ma poi tornano, anzi, potrebbe anche capitare che io mi faccia bastare quel primo sollievo illusorio, per non far nulla di concreto per cambiare davvero la situazione.

Anche la reazione degli altri alle mie parole può in realtà peggiorare il mio stato d’animo, come quando sono arrabbiatissima e l’altro minimizza facendomi arrabbiare ancora di più, o quando mi da ragione anche in quel caso potrei finire a sentirmi legittimata ad essere più arrabbiata di prima!

Inoltre mentre parlo di una cosa dolorosa questa è presente anche quando potrebbe non esserci, magari l’interlocutore mi avrebbe parlato di altro, distraendomi, o magari facendomi ridere!

 

Fare troppo per gli altri: C’è un rischio molto più alto del semplice stress se ci dedichiamo troppo agli altri, il rischio è quello di aumentare la nostra insicurezza dal punto di vista relazionale, infatti mi rimarrà sempre il dubbio che gli altri tengano a me non per quello che sono, ma per quello che faccio.

Imparare a delegare e dedicarsi a noi stesse, sono gli l’antidoti.

Anche per quanto riguarda la salute della coppia se c’è uno sbilanciamento nel “dare” questo può creare problemi, l’altro può dare per scontate le nostre attenzioni, chi è più generoso può iniziare a provare rancore.. e così via.

Ricordiamo che, come sosteneva Erich Fromm:

“Il compito principale nella vita di ognuno è dare alla luce se stesso”.

 

 

 

Superare un tradimento

Il tradimento è uno degli accadimenti più traumatici per una coppia. L’esclusività è una delle basi di una relazione d’amore vincente, a meno che ci siano tra i partner altri accordi, come ad esempio nelle “coppie aperte”; l’importante in questi casi è che tali decisioni siano condivise e non subìte.
Sono rare le coppie che sopravvivono ad un tradimento o che se rimangono insieme poi ritrovano l’equilibrio.
Ci sono persone che per sentirsi vive devono costantemente avere scariche di adrenalina, dette “sensation seekers”. Spesso si cimentano in sport estremi ed in tutto ciò che gli fa provare forti sensazioni, per questo amano il rischio e possono sentirsi soffocare se si ritrovano in una vita “ordinaria”; chi presenta questa caratteristica è facile che utilizzi il tradimento per raggiungere tale “brivido”.
I meno coraggiosi invece possono limitarsi a tradimenti virtuali, chat con vecchie fiamme, siti con webcam, per “comunicare” con sconosciuti. Anche in questo caso se il tradimento viene alla luce, la coppia subisce un terremoto al pari di uno “agìto” nel reale e rischia di sgretolarsi.
Si può tradire perché ci si sente trascurati. A questo proposito è utile sottolineare quanto, soprattutto gli uomini, si innamorano dell’amore che vedono riflesso negli occhi del/della partner; se questo manca si può finire per ricercare altrove qualcuno che ci faccia sentire importanti. Il sapere che l’altro “c’è”, il constatare che ci dedica tempo, la necessità di sentirsi apprezzati sono bisogni universali: il partner dovrebbe essere il nostro primo fan!
Si può tradire perché è finito l’amore o la sintonia; in tal caso “ricostruire il rapporto” sarà un’impresa titanica. Ma, se sotto le ceneri di un amore che “sembra” esaurito in realtà c’è una piccola fiammella, questa può essere alimentata da un tecnico esperto che suggerirà varie mosse; la terapia breve strategica a tal proposito possiede tante risorse da proporre, la coppia si troverà di fronte ad un compito impegnativo ma non impossibile.
Se in passato c’era una forte intimità e trasporto basterà poco per risvegliare la “memoria epidermica”, ossia quella sensazione a pelle che l’altro scatenava.
In linea di massima è meglio tacere il tradimento, confessarlo infatti è un atto più egoistico di quanto sembrerebbe; il senso comune spesso sopravvaluta l’importanza della sincerità. Chi confessa si sentirà sollevato (inizialmente), chi subisce ne sarà dilaniato, la relazione sarà quindi in serio pericolo. Meglio tenere il fardello per sé ed impegnarsi a far sì che sia stata, e rimanga, solo una “parentesi”, se ciò che ci sta a cuore è la salute della coppia.
Letteralmente perdonare significa “lasciar perdere”, atteggiamento mentale più difficile da raggiungere ma più produttivo; quindi arrivare a non prenderlo più in considerazione, fingere che non sia successo, “ingoiare il rospo”. Se lo si ha sempre presente infatti sarà facilissimo l’instaurarsi di recriminazioni, ripicche, distanze emotive e fisiche, che peggioreranno la situazione.
Il terapeuta potrà favorire questo processo, per esempio utilizzando lo stratagemma dell’ “aggiungere per ridurre”. Aiutare la coppia a creare nuovi ricordi di nuove e positive esperienze da fare insieme, che man mano arrivino ad oscurare ciò che vogliamo far cadere nell’oblio; ovviamente, prima di questo, sarà fondamentale lavorare per comprendere cosa fare di diverso per evitare che accada nuovamente.

 

Date fiducia all’amore,

il resto è niente.

Giorgio Gaber

 

Coppia – Litigare strategicamente

Tutto ciò che può fare molto bene, in una dose eccessiva, si trasforma in un veleno.

litigare donne

Ippocrate

Quando si fa terapia di coppia bisogna fare attenzione a quale tipologia abbiamo di fronte. In certi casi riappacificarle potrebbe essere controproducente, i litigi per alcune di esse sono il “motore”.

L’importante è litigare strategicamente:

  1. In generale sarebbe meglio non evitare i litigi; l’integrità di una coppia è minacciata più dall’indifferenza, la sua salute infatti si può misurare dal numero di conflitti affrontati e risolti. A volte si decide di non litigare per una passiva rassegnazione, perché non ci si sente in grado di affrontare la situazione, oppure a causa della pericolosissima tendenza ad accumulare rabbia dentro di sé, per poi magari finire per esplodere in malo modo. Se c’è un elefante al centro della stanza se ne deve parlare, non certo ignorarlo. L’indifferenza funziona sul breve periodo ma sul lungo risulta controproducente.
  2. Non si dovrebbe temere la sofferenza derivante dai litigi, (“la sofferenza ha il compito di risvegliarci” – J. Morrison), di farci comprendere cosa modificare, di renderci attivi e di non dare la relazione per scontata.
  3. Litigare sempre per la stessa cosa è improduttivo e genera noia. Questo può essere un campanello d’allarme per rivolgersi ad un professionista, soprattutto se il contenuto del litigio riguarda una tematica importante, come il rispetto reciproco, la sessualità o l’educazione dei figli.
  4. E’ importante concentrarsi sul presente e non sul passato; questo non si può più cambiare, servirebbe la macchina del tempo ma purtroppo non esiste… Rivangare il passato può essere solo fonte di malumori; la nostra memoria ci dice tante bugie, quindi entrambi avremo addirittura ricordi diversi dell’esperienza e questo potrà generare ulteriori problemi.
  5. Non litigate mai in camera da letto. Questa deve rimanere un luogo dedicato al piacere ed al riposo; se il litigio inizia lì, imponetevi di cambiare stanza. Cambiando scenario si potrebbero anche modificare le dinamiche del litigio stesso, ma non vi anticipo nulla… lo scoprirete da soli.
  6. Se vogliamo ottenere qualche beneficio da un litigio è molto importante cercare di non urlare; in ogni tipo di “comunicazione” è molto importante il “modo” in cui si dicono le cose, più del contenuto. Esacerbando i toni l’altra persona può chiudersi e se ciò avviene poco conta che ciò che stiamo dicendo è vero, non lo ammetterà mai.
  7. Se possibile alla fine di una discussione, calmati gli animi, fate qualcosa di piacevole insieme. Questo creerà le condizioni affinchè la litigata sia percepita come una parentesi più o meno positiva ma che non definisce di per sè il rapporto.

uomini che litigani

Arrabbiati che ti passa

                                                                     arrabbiati-che-ti-passa

Arrabbiati che ti passa…

La rabbia può essere propulsiva o distruttiva; vediamo insieme quando ci aiuta e quando invece dobbiamo farci aiutare.

RABBIA COME MOTORE: 1) Dopo il primo periodo di sconforto, una grande delusione d’amore può averci portato a prenderci cura di noi guidati da uno spirito di rivalsa –“Mi vedrà, sarò bellissimo/a e si mangerà le mani!”.

2) Un professore che non credeva in noi, può averci spronato a fare di più per sfida, tanto che alla fine siamo giunti a traguardi impensabili, anche da noi stessi.

3) Possiamo aver deciso di praticare un’Arte Marziale per imparare a difenderci dai bulli, scoprendo poi una grande passione per questa disciplina, che ci accompagnerà per tutta la vita.

4) Trovandoci in una situazione che nuoceva alla nostra autostima, perché non venivamo considerati, o venivamo feriti moralmente o fisicamente, possiamo aver deciso di andarcene.

RABBIA COME LIMITE: 1) Se siamo ossessionati da un qualcosa che in passato doveva andare in un altro modo e che percepiamo come una ingiustizia (un licenziamento, una bocciatura, un lutto..), tanto da far si che ci sia difficile anche solo immaginare di costruirci un futuro.

2) Se “odiamo” qualcuno, o qualcosa nel nostro presente a tal punto da faticare a pensare ad altro, tanto da sviluppare disturbi psicosomatici, faticando a mantenere un atteggiamento socialmente accettabile (insultare, essere aggressivi fisicamente), tediando amici e conoscenti con le nostre lamentele.

COME USCIRNE

L’immagine più utilizzata dalla terapia strategica in caso di rabbia (se questa limita la persona) è : “Essere arrabbiati è come bere un veleno e sperare che muoia il nostro nemico”; troppa rabbia avvelena, per superarla è importante farla defluire, magari scrivendola, oppure praticando attività fisica, non necessariamente intensa, è più importante che sia regolare e se possibile non troppo breve (compatibilmente col proprio stato di salute). E’ importante ammetterla a noi stessi per gestirla, negarla non servirebbe.

CAMPANELLI DI ALLARME (ovvero quando rivolgersi ad un esperto)

  • Se sentite che potreste “agire” la rabbia, aggredendo verbalmente o fisicamente qualcuno; o lo avete già fatto.
  • Se i cari si stanno allontanando perché non vogliono più ascoltare le vostre lamentele, o non vi sentite capiti (minimizzano, alimentano la rabbia spalleggiandovi fin troppo).
  • Se un contesto (lavoro, famiglia, sport), vi sembra ostile, tanto da non sopportare più di starci.
  • Se la vostra mente è rapita dalla rabbia tanto da non riuscire a concentrarsi su altro (traguardi minimi o importanti).

BAMBINI…A TAVOLA!

pensiero positivo rimini

Il falso mito del “pensa positivo”

Quante volte di fronte ad una situazione difficile ci siamo sentiti dire: “pensa positivo!”, “sii ottimista!”.

Che si tratti di un piccolo contrattempo come bucare una gomma, saltare per malattia un appuntamento importante; o di una vera tragedia esistenziale, come una situazione lavorativa critica, problemi relazionali con figli, partner, la possibilità di aver contratto una malattia..;

solitamente queste parole possono avere un duplice effetto su di noi:

  • il primo, il più manifesto: “lo dice per incoraggiarmi/perché mi vuole bene”.
  • il secondo, che si insinua in maniera un po’ meno consapevole nella nostra mente è: “Da poca importanza alla mia problematica”.

Ben lungi dal sostenere l’approccio di chi empaticamente finisce per “piangere con noi”; o chi con aria funesta liquida il tutto con: “La vita è tutta una fregatura”.

Potrebbe essere utile partire dalla narrazione della persona, confermando il peso che ha effettivamente la sua problematica, per poi insieme cercare una soluzione per uscirne.

Una soluzione più pratica possibile, non elucubrazioni mentali o teorie sterili; a volte un amico, che ci conosce bene può aiutarci in questo compito, ovviamente qualora non sia sufficiente sarà necessario rivolgersi ad un professionista.

N.B. Lamentarsi blocca l’azione!

A volte però, siamo noi stessi ad auto-infliggercelo con esiti se possibile peggiori.

Nel libro “Psicotrappole” (ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli), di Giorgio Nardone, il pensa positivo è indicato come una delle peggiori psicotrappole del “pensare”.

Pensando positivo infatti, si finisce per illudersi e la seguente delusione può portare addirittura a forme depressive; inoltre più l’aspettativa è elevata più devastante è l’effetto della delusione.

Tenuto conto che il meccanismo della profezia che si auto-avvera funziona molto più in negativo che in positivo; quando volontariamente cerchiamo di pensare positivo si ottiene l’effetto paradossale: finisco per deprimermi di più, se ho paura e cerco di pensare ottimisticamente mi spavento ulteriormente.

Quindi che fare?

La “psicosoluzione” offerta in questo testo, di cui consiglio vivamente la lettura è:

– Ricordare che il pensare positivo di fronte a paura, rabbia o dolore, esaspera tali sensazioni anziché ridurle.

– Il pensare positivo è utile solo quando si hanno già esiti di successo, per amplificare la fiducia nelle nostre risorse e capacità, già espresse nei fatti; questo significa incrementare gli sforzi sulla base di una efficacia comprovata, quindi l’opposto di una aspettativa illusoria, volontaria.

In conclusione quindi è fondamentale, tenere a bada la tendenza a creare illusioni volontarie, per non rendere: “bello il viaggio ma deludente l’arrivo”.

Bibliografia: “Psicotrappole” di Giorgio Nardone, ed. PONTE ALLE GRAZIE, 2013.